I consiglieri dell’Ordine sono una casta?

“Va là che se aboliscono l’Ordine ti devi trovare un lavoro!”. Questa frase, pur buttata là con ironia da un collega giornalista pochi giorni fa, mi ha lasciato basito. Perché è indice di quanto si sia persa ormai ogni distinzione tra incarico e professione.

Anche le posizioni di servizio più insignificanti appaiono ormai “casta” agli occhi di molti, persino a quelli degli addetti ai lavori :/

“Veramente io un lavoro ce l’ho già…” ho risposto al collega, facendogli presente che l’incarico che svolgo nell’Ordine dei giornalisti non mi porta in tasca nulla, anzi. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: ha fatto spallucce e se n’è andato scuotendo la testa.

E dire che, fino a qualche anno fa, non mi sarebbe nemmeno passato per la mente di impegnarmi nell’Ordine. Nella primavera 2013, quando alcuni amici mi chiesero di candidarmi con loro al Consiglio nazionale, pur rimanendo onorato mi chiesi per un attimo se avessero sbagliato persona 🙂

Solo con il passare del tempo, e con il lavoro svolto nei gruppi, in Consiglio e nel territorio, ho preso piena coscienza di questo ruolo. Un incarico svolto nell’esclusivo interesse della professione e dei colleghi che mi hanno onorato del mandato, tanto al nazionale (2013-2017) quanto al regionale (2017-2020).

Ma torniamo “alla casta”: quanto prende un Consigliere regionale dell’Ordine dei giornalisti? La risposta è semplice: zero. Molti anni fa era previsto un gettone di presenza al regionale, poi abolito. I consiglieri, dunque, non prendono nulla per le convocazioni del Consiglio, per quelle delle commissioni, per le presenze in rappresentanza dell’Ordine, per la partecipazione come relatori ai corsi di formazione per i colleghi. Di più, nel caso di eventi organizzati da terzi, se invitati come rappresentanti dell’Ordine non possono accettare compensi (anche se previsti per i relatori).

Si è ragionato in passato, all’Ordine regionale, sulla possibilità di reintrodurre un gettone simbolico (magari pari a quello dei consiglieri comunali, una trentina di euro lordi a riunione): il tempo speso dovrebbe avere un riconoscimento, sia pure simbolico. Ma questa possibilità è rimasta lettera morta.

Fanno eccezione, per i consiglieri che non risiedono a Bologna, i rimborsi delle spese di viaggio e i pasti (se l’impegno supera un tot di ore). Su nove consiglieri regionali, solo in tre (tra cui il sottoscritto) possono usufruirne. Con il paradosso che, ad ogni convocazione in sede, i consiglieri che abitano nella periferia di Bologna devono pure pagarsi di tasca propria il salato parcheggio del centro.

Diamo ora un’occhiata alla mia agenda ordinistica del mese passato. Negli ultimi trenta giorni ho preso parte come relatore a quattro corsi di formazione per colleghi (Parma 19/10, Bologna 24/10, Ravenna 26/10, Forlì 12/11), due commissioni consiliari (pubblicisti 29/10, formazione 13/11), un consiglio regionale (30/10), un gruppo di lavoro nazionale (Roma 6 e 7/11), un evento alla Città metropolitana in rappresentanza del presidente regionale (Bologna 16/11).

Su ventuno giorni lavorativi, ho dedicato all’Ordine ben dieci giorni (in tutto o in parte), senza contare i quotidiani contatti con i colleghi sul territorio (dal vivo o per telefono) sulle problematiche più disparate.

Ai giornalisti contrattualizzati spettano 10 giorni di permesso l’anno nel caso rivestano una carica negli organismi di categoria. Il sottoscritto invece, da buon Co.co.co., non ha neppure quelli e ad ogni impegno preso per l’Ordine corrispondono salti mortali per non rallentare il lavoro: interviste telefoniche e articoli scritti in treno o nelle sale d’attesa delle stazioni, pause pranzo e cene di lavoro saltate, cambi turno elemosinati ai colleghi. Difficile quantificare poi il tempo sottratto alla famiglia, meglio non provarci neanche.

Sia chiaro, non mi lamento: impegnarsi per la categoria e per i colleghi mi sta riservando delle belle soddisfazioni. Ma il prossimo che mi si avvicina parlandomi di casta si becca, amichevolmente beninteso, una craniata sui denti