Sono nato e cresciuto alle Vigne di Cesena, quartiere con una toponomastica dedicata alla lotta di Liberazione dai fascisti e dai nazisti. Al centro c’è piazza dei Partigiani, la strada d’accesso principale al quartiere è dedicata al 25 aprile, le vie portano nomi di partigiani (come Terzo Domeniconi, Nello Casali, Colombo Barducci) o deportati dai nazifascisti (i Saralvo, le sorelle Jacchia).

Una di queste vie però, quella della parrocchia di San Pio X e della scuola elementare, è intitolata allo statista democristiano Adone Zoli, capo del Governo tra il 1957 e il 1958.

E proprio il suo Governo, pur essendo un monocolore DC, illustra bene un concetto figlio della Resistenza: il cosiddetto “arco costituzionale” (anche se questo termine sarebbe stato coniato solo in seguito). Si tratta dell’insieme di tutte le forze politiche (dalla sinistra al centrodestra) che contribuirono a gettare le basi della nostra Repubblica con la pietra fondante della Costituzione. Da questo arco l’unica forza esclusa era il Movimento sociale italiano, non diretta continuazione del PNF (e pertanto ammesso alle competizioni elettorali) ma erede dei repubblichini fascisti di Salò.

Ebbene il Governo Zoli, sbagliando i calcoli, si trovò nell’inaspettata condizione di dover dipendere per la fiducia dal voto di astensione del MSI. Una cosa inconcepibile, tanto che il Presidente del Consiglio presentò le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato. Gronchi le respinse, dopo aver sondato brevemente l’ipotesi Merzagora, e Zoli restò al Viminale (la presidenza del Consiglio in quegli anni non era ancora a Palazzo Chigi) con un governo DC “di minoranza precostituita”. Mai pensò però di potersi appoggiare ai missini per rafforzarsi: meglio guidare un Governo in bilico e con i bagagli pronti.

Questo comune sentire tra tutte le forze democratiche (anche se di opposti orientamenti nella politica quotidiana), l’antifascismo come collante dell’intera Repubblica italiana, si è ormai irrimediabilmente annacquato.

Ma non deve andare disperso. Io non dimentico e la toponomastica delle “mie” Vigne neppure. E mi piace pensare che quando, all’inizio degli anni ’80, la via XXV aprile venne prolungata e unita alla via Zoli (senza passare più per le vie Sintoni e Campana) si realizzò un abbraccio teso a celebrare quel modo di governare.

Il “curvone” delle Vigne per me è la rappresentazione plastica e locale dell’arco costituzionale, è l’abbraccio ideale tra la Resistenza tutta e l’antifascista “democristiano quotidiano” Zoli, oppositore antemarcia delle camicie nere e membro del CLN.

Un’unione bella e naturale, che oggi appare blasfema solo agli occhi di chi cerca di liquidare il 25 aprile a “cosa di sinistra” rimpiangendo in cuor suo il fez, l’orbace e l’olio di ricino.

Buona festa della Liberazione e della rifondazione democratica d’Italia!