Il mese scorso ho celebrato le nozze d’argento con il Corriere Cesenate. Sono passati 25 anni da quando questo giornale, per una serie di incredibili coincidenze, pubblicò il mio primo articolo.

E dire che io non pensavo di fare il giornalista, non ero un lettore del Corriere Cesenate e, per di più, quel pezzo manco volevo darglielo. Ma andiamo con ordine, penso che questa storia meriti qualche riga.

Siamo nella primavera del 1997. Un gruppo di (miei) amici vuole riportare in vita una storica testata cesenate, per animare il dibattito politico-culturale cittadino. A questo fine il gruppetto, tra questi Gabriele Borghetti e William Casanova, registra la testata in tribunale e contatta un iscritto all’Ordine per il ruolo di direttore responsabile.

C’è solo un piccolo problema: scrivere per un giornale è diverso dallo scrivere temi, saggi o relazioni. E nessuno in quel gruppo di amici ha esperienza in campo giornalistico. Per una curiosa coincidenza, proprio in quei giorni, in seminario sta per partire il corso di introduzione al giornalismo del settimanale diocesano Corriere Cesenate. Quattro serate pensate non per formare giornalisti bensì lettori più consapevoli, cittadini capaci di leggere il giornale “tra le righe”.

Ed io, in tutto questo, che c’entro? Beh, è il ’97 e ho molto tempo libero. Fresco di congedo dal servizio militare, passo da un lavoretto precario all’altro cercando di racimolare qualche soldo per potermi iscrivere all’università.

I miei amici, ben più impegnati di me, ne sono consapevoli: «Visto che alla sera non hai un c***o da fare, perché non vai in Seminario, ritiri le dispense e prendi appunti al nostro posto?».

Detta così mi viene un po’ voglia di mandarli a quel paese. Ma tutto sommato non la reputo un’idea malvagia. E accetto.

Venuti a sapere dell’iscrizione, un paio di amici della parrocchia (non coinvolti nel progetto di cui sopra), si iscrivono a loro volta: Andrea “Andrew” Casadei e un giovanissimo Andrea “Desa” Turci.

Una sera gli organizzatori del corso (Francesco Zanotti ed Ernesto Diaco) decidono di metterci alla prova: «Scrivete un articolo su di un fatto che vi ha colpito. Eventi di cui siete stati testimoni o che avete letto sulla stampa nazionale. In questo caso però, non potendo verificare direttamente la notizia, dovrete leggere la stessa su più testate, rielaborandola. La prossima settimana ritireremo i testi e vi diremo dove avete sbagliato e come migliorare».

Decido di accettare la sfida. Non mi sento un giornalista, sono lì solo per prendere appunti e ritirare dispense, ma mettermi alla prova mi piace. Così leggo diversi giornali e preparo un articolo su di un gruppo di carcerati atteso, invano, ad una cerimonia di beatificazione in piazza san Pietro. La reputo una notizia interessante e in linea con il target del giornale.

La settimana successiva, prima del corso, siamo tutti in attesa del ritiro della prova scritta. E per un quarto d’ora vengo preso in giro dal mio compagno di banco: «Ma quel foglietto lì non sarà mica il tuo articolo? Ma è cortissimo, non ti vergogni? E poi di cosa parla?! Carcerati convertiti?! Ma dai, viaggia… io ho scritto un bellissimo pezzo di sport. Al posto tuo io non consegnerei. Puoi ancora evitare una figuraccia, buttalo via».

Queste argomentazioni non mi convincono. Eppure comincio a sentir ticchettare, piano piano, il tarlo del dubbio. Resto con il foglietto a mezz’aria, indeciso sul da farsi, quando ad un tratto l’elaborato mi viene strappato di mano. Il ritiro è già in corso, troppo tardi. «Vabbè – sospiro – mal che vada me lo riconsegneranno martoriato dai segni rossi».

L’esito è imprevedibile. Qualche giorno dopo, con una telefonata a casa (il telefono fisso, quanti ricordi!), Zanotti mi chiede, a nome del direttore don Piero Altieri, di poter pubblicare il pezzo. Quel piccolo esercizio è stato ritenuto degno, senza correzioni, di un posto in pagina. Di più, mi viene chiesto di collaborare con il settimanale.

Sono spiazzato. Ci penso un po’, poi accetto. Il mio secondo articolo sarà, su richiesta della redazione, un lungo approfondimento su di un tema europeo a mia scelta. Stufo del dibattito economico per l’accesso all’eurozona, sposto lo sguardo più avanti nel tempo, scrivendo della necessità di un allargamento a Est della UE. L’articolo viene pubblicato e il giornale, senza dirmi nulla, spedisce il testo all’ufficio per l’Italia del Parlamento europeo.

Risultato? Rientro tra i 20 vincitori di un concorso di giornalismo a cui non sapevo di partecipare, passando una settimana a Bruxelles ospite delle istituzioni europee.

Un’ondata di consapevolezza mi travolge: «Il mio primo pezzo, che non doveva essere tale, non è stato cestinato ma pubblicato. Il mio secondo pezzo, primo effettivo, è stato premiato. Forse non sono poi male. Tanto vale provarci…».

Così è cominciato, mio malgrado e non subito, il mio lungo e accidentato percorso nel giornalismo. Per una serie di incredibili coincidenze. Nel mio caso non posso parlare di “sacro fuoco” o sogno d’infanzia. Ad ogni modo eccomi qui, dopo tante esperienze professionali, a celebrare le nozze d’argento col giornale in cui mossi i primi passi e che oggi mi impiega come redattore.

Direbbe Pico della Mirandola: «Per varie e perigliose vie, che sembravano traversie ma erano, in effetti, delle opportunità».

Ah, la testata che i miei amici dovevano riportare in vita non vide mai la luce. Io passai loro appunti e fotocopie, ma il progetto rimase al palo. Un esito positivo, in fondo, c’è stato comunque ?