Nuovi criteri di accesso al praticantato giornalistico, una forzatura pericolosa

L’Ordine dei giornalisti ha annunciato ieri di aver cambiato le norme di accesso al praticantato, il percorso che porta all’esame di Stato per diventare giornalisti professionisti (nulla cambia, invece, per gli aspiranti pubblicisti).

L’annuncio, con tanto di commento del presidente nazionale Carlo Bartoli, si può trovare qui:

I nuovi criteri dovrebbero entrare in vigore il primo gennaio 2023. Sempre che, come penso (anzi, ormai auspico), il ministero vigilante non li stronchi sul nascere.

Chi mi conosce sa che cerco sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno. Ma per la piega che ha preso questa vicenda proprio non ce la faccio.

Il mese scorso avevo commentato le prime bozze sui nuovi criteri, in discussione al Consiglio nazionale dell’Ordine, cercando di sottolineare quel che di buono c’era, sicuro di un confronto costruttivo tra il livello nazionale e gli Ordini regionali (siamo stati invitati tutti a presentare emendamenti al testo).

L’idea di nuovi criteri che superassero sia il “ricongiungimento” per i pubblicisti di lungo corso (una misura temporanea, prorogata poi di anno in anno per quasi un decennio) che il “praticantato freelance”, aveva un suo fondamento. Specie nella parte in cui prevedeva l’affiancamento di tutor dell’OdG, corsi periodici ogni sei mesi e il ritorno del corso finale pre-esame.

Ad una condizione però: che questi percorsi (pur in assenza di un contratto di praticantato “classico”) restassero nell’alveo delle testate giornalistiche.

Il testo licenziato dal Cnog (a maggioranza) prevede, invece, che l’aspirante praticante dimostri di aver svolto nell’anno precedente, per almeno sei mesi, attività giornalistica con “scritti e/o fotografie e/o video e/o audio per giornali cartacei, radio e/o tv, piattaforme e canali on line e uffici stampa”. Il tutto con un reddito pari almeno alla metà di un praticante contrattualizzato.

Il materiale potrà essere frutto di attività svolta anche al di fuori di testate registrate, persino sui social media, come ha sottolineato (tutto orgoglioso!) il presidente Bartoli. Basteranno sei mesi di comunicazione ovunque (testate online, uffici stampa), con qualsiasi mezzo (social, videomaker) e, con un minimo di reddito, l’OdG regionale potrebbe concedere il praticantato.

Spetterà infatti agli Ordini regionali vigilare sulla qualità del materiale prodotto. Ma questa ampia discrezione porterà ad una ulteriore “balcanizzazione” dell’Ordine, con regioni pronte a interpretazioni generose della norma e altre già arroccate su di un approccio restrittivo.

Personalmente ritengo che svincolare in questo modo l’accesso al praticantato dalle testate sia molto pericoloso.

In passato si è ripetuto spesso che l’accesso alla professione doveva cambiare. E questo può farlo solo il Parlamento, con una riforma della legge 69/63.

Questa riforma dell’accesso, tante volte invocata, avrebbe dovuto sì superare il concetto di praticantato nelle testate ma con una previsione stringente: l’obbligo della via universitaria per tutti gli aspiranti, come avviene per gli altri Ordini professionali.

Qui siamo all’opposto! Con i nuovi criteri varati dal Cnog non solo vengono confermati i canali di accesso basati sulla pratica ma, svincolando questi dalle testate, viene dato ad essi un peso esagerato, sminuendo ancora di più la via d’accesso universitaria (scuole di giornalismo post-laurea, Master o Ifg).

Come OdG Emilia-Romagna avevamo provato, nelle scorse settimane, a mettere una pezza al testo che ci era stato presentato da Roma. Trovando, a fatica, un accordo “sull’ambiente professionale”. Ossia l’apertura a testate giornalistiche online non registrate in tribunale (la legge lo consente se i ricavi sono inferiori a 100mila euro l’anno) a patto che queste avessero un direttore giornalista ed una redazione composta da giornalisti.

Ma il nostro contributo, così come quello di molti altri Ordini regionali, è stato bellamente ignorato dalla maggioranza che guida il Consiglio nazionale OdG.

Sappiamo bene che la realtà editoriale non è più quella di un tempo. Le regole del mondo dell’informazione andrebbero riscritte da capo a piedi. Ma la riforma della professione non può avvenire con simili forzature.

Temi così importanti eccedono di gran lunga i “criteri interpretativi” entro i quali l’Ordine può esprimersi in autonomia. C’è bisogno di una riforma complessiva della legge, compito dei parlamentari.

Per questo penso che, come avvenuto in passato con il cosiddetto “foglio rosa” per gli aspiranti pubblicisti (che pure era una buona idea, pensata per limitare il potere di ricatto degli editori), anche questo provvedimento sarà bocciato dal ministero della Giustizia perché eccedente i compiti dell’ente.

Post scriptum 10/11/22

L’amico e consigliere nazionale OdG Lorenzo Sani mi ha segnalato un’imprecisione nel mio scritto.
Il reddito richiesto dai nuovi criteri interpretativi dell’art.34, infatti, è pari al minimo tabellare del praticante, e non più a metà dello stesso (come nelle ipotesi iniziali).

Questa modifica mi era sfuggita. Nel comparare la versione iniziale della proposta, quella finale e tutte le versioni arrivate dai diversi OdG regionali (a questo punto “in larga parte ignorate”, non “del tutto ignorate”) mi si erano strabuzzati gli occhi. Ben volentieri, dunque, faccio ammenda per l’imprecisione sulla cifra richiesta.

Confermo il resto del mio scritto. Tra i colleghi ci sono visioni diverse, anche in maniera radicale, sull’accesso al praticantato.

L’apprendimento della professione è passato fino ad oggi o per la via universitaria o per la pratica. Pratica svolta *nelle* redazioni (praticanti classici o riconosciuti d’ufficio a posteriori) o *con* le redazioni (praticantato freelance o pubblicisti ricongiunti).

Se davvero si vuole escludere la pratica sul campo (perché le testate giornalistiche, sempre più spolpate, non hanno più mezzi e forze per seguire dignitosamente gli aspiranti giornalisti) a mio avviso resta solo la via universitaria (con un ripensamento delle attuali scuole e l’istituzione di corsi di laurea in giornalismo).

La via dell’auto-pratica, pur controllata dagli Ordini regionali, non mi convince per niente.