Un mese fa, commentando i “Nuovi criteri di accesso al praticantato giornalistico”, concludevo così il mio post: “questo provvedimento sarà bocciato dal ministero della Giustizia perché eccedente i compiti dell’ente”.

Un concetto che ho ribadito poi più volte, a voce, a chi mi chiedeva lumi sul documento varato dall’Ordine nazionale: “Non state neanche a perdere tempo, tempo qualche settimana e diverrà carta straccia”.

Un atteggiamento, il mio, dettato non da animosità “politiche” ma da una semplice constatazione dei fatti: quanto approvato dal Cnog non stava in piedi sul piano del diritto.

A metterlo nero su bianco, nei giorni scorsi, è stato il ministero di Giustizia (organo vigilante sul nostro Ordine) rispondendo a diverse segnalazioni giunte in via Arenula da parte di colleghi.

L’ufficio ordini professionali e albi del dipartimento per gli affari di Giustizia ha sonoramente bocciato il testo. Il ministero parla di (cito dal documento): “modifiche normative che non sono demandate alla potestà regolatoria dell’Ordine, il quale, a legislazione primaria invariata, non può configurare una modalità di accesso al registro dei praticanti difforme e contrastante con il quadro normativo vigente, prescindendo dai parametri ritenuti necessari dal legislatore”.

In soldoni: l’Ordine ha cercato di sostituirsi al Parlamento, ribaltando la gerarchia dalle fonti.

Con questo provvedimento il ministero ha accolto dunque la tesi dei ricorrenti. Nel testo si legge di una “violazione del principio di legalità, declinato in concreto quale rispetto della gerarchia delle fonti […] una modalità di accesso totalmente difforme e contrastante con le normative vigenti”.

Di più, il ministero ricorda all’Ordine che se un Consiglio “richiamato all’osservanza degli obblighi ad esso imposti, persista nel violarli” questo può essere sciolto e commissariato.

Ora, dopo una bocciatura del genere bisognerebbe avere il pudore, quanto meno, di stare un po’ in silenzio a riflettere. Sul sito del Cnog è apparsa, in merito, una sobria comunicazione: “Il Comitato esecutivo ha già avviato una interlocuzione sulle sollecitazioni ricevute”.

Di diverso tenore, invece, è il battagliero comunicato di ContrOrdine (versione ordinistica della sindacale ControCorrente), gruppo che esprime la maggioranza dei consiglieri nazionali dell’Ordine. Anziché cospargersi il capo di cenere, prendendo atto di una bocciatura clamorosa, i colleghi di ContrOrdine se la prendono con i giornalisti autori dell’esposto al ministero. “hanno deciso di sabotare questo primo e parziale passo verso una riforma innovativa dell’accesso, preferendo la conservazione e l’immobilismo […] Gli ostacoli strumentali e i comportamenti irresponsabili non fermeranno il cammino riformista”.

Nessuno mette in dubbio la necessità di adeguare la professione (e le modalità di accesso alla stessa) ai tempi d’oggi. Nessuno nega la necessità “di un cammino riformista”. È lo stesso ministero a riconoscerlo in un passaggio del suo documento.

Ma la via maestra per una, da troppo tempo attesa, riforma complessiva della professione non può che passare dalle Camere. L’Ordine dei Giornalisti è un ente pubblico e non può (non deve!) imboccare scorciatoie pericolosamente ai limiti dell’eversivo.