Burocrazia, accordi, sorrisi e coltelli. I primi due Consigli nazionali dell’Ordine dei giornalisti (3 giorni a giugno, 3 giorni a luglio) ci hanno impegnato in una lunga serie di votazioni. Prima le cariche di vertice (presidente, vicepresidente, segretario e tesoriere), poi il resto dell’esecutivo, i revisori dei conti, i consiglieri di disciplina (distaccati in organo autonomo), infine le quattro commissioni permanenti (giuridica, ricorsi, cultura, amministrativa).
Chiamata nominale per voto segreto, seconda chiama, lento scrutinio delle schede cartacee. Ripetizione del tutto con nuovi quorum, fino ai ballottaggi. Procedure lente, quasi barocche, in un’epoca dove tutto ormai è digitale e “leggero”. Trattandosi di adempimenti previsti dalla legge però (quella del ’63 istitutiva dell’Ordine e il regolamento attuativo del ’65) non era possibile fare diversamente: solo il Parlamento può cambiare le procedure.
Al prossimo Consiglio, convocato per settembre, dovremmo cominciare a parlare di cose concrete. O almeno questo è l’auspicio.
Il mio approccio al Consiglio è avvenuto in punta di piedi. Non poteva andare diversamente. Da neofita mi sono fidato della squadra al momento del voto, cercando comunque, nei limiti del possibile, di approfondire un po’ meglio il profilo dei diversi candidati. Qualcuno scherzando mi ha rassicurato dicendo: “ho speso i primi tre mandati solo per capire dove mi trovavo e cosa fare per poter dire la mia”. Personalmente spero di metterci meno 😛